venerdì 4 febbraio 2011

Mi piace camminare.

Mi piace camminare.
Mi piace camminare perché mentre cammino riesco a pensare meglio di quando sto fermo. Non so da cosa ciò dipenda ma so che è così, senza se né ma. C’è chi riesce a fare profonde relazioni filosofiche sulla propria vita mentre si fa la doccia, chi mentre cucina, chi mentre fa yoga, chi mentre pota il giardino, chi mentre disegna, chi mentre ascolta la musica. Io diciamo che per pensare bene ho bisogno di muovermi. È per questo che tutte le volte che non mi torna qualcosa decido di andarmi a fare una delle mie “passeggiate”; a volte, se sono davvero di buon umore, porto con me, a mo’ di compagni,  il mio caro i-pod e la mia macchina fotografica. E cammino. So quando esco ma poi le ore passano e io non me ne rendo mai conto. Qualche mio amico dice che è una perdita di tempo, che nel frattempo sarei potuto andare all’allenamento, o al bar a vedere di “chiappare” come fanno loro ogni santo pomeriggio, che poi va a finire che tornano sempre a mani vuote: quelle della nostra età non li guardano nemmeno di striscio e, per quanto ne penso io, non li guarderebbero neppure se si mettessero, tutti e sei, un pannello con caratteri lampeggianti accesi sulla fronte; e loro ovvio che quelle più piccole non le vedono nemmeno.
Forse mi voglio distinguere, forse. So solo che non mi va di passare tutti i pomeriggio al solito bar, con la solita birra o coca in mano, d’inverno una pizza e d’estate un gelato, a volte qualche sigaretta e poi sempre quell’eterna speranza di “questo è il pomeriggio giusto”. Che poi ancora non l’hanno capito che non esiste un pomeriggio “giusto”, o almeno, putacaso esistesse, di sicuro non lì. E poi io so già chi voglio, non ho bisogno di passare pomeriggi ad uno stupido bar a scegliere fra altre venticinque tutte rigorosamente uguali, stessa forma della borsetta, stesse scarpe, stesso colore di giacchetto, a volte perfino stesso taglio di capelli, stesso trucco, stesso gesto ad allontanare il ciuffo dalla faccia per poi un secondo dopo spingercelo di nuovo piegando leggermente la testa di lato solo per ricominciare tutto daccapo. Lei non è così. Lei non ce l’ha nemmeno il ciuffo: ha la frangetta.che poi non capisco perché non se la lasci crescere e se la tolga di torno, ha degli occhi così belli che è un peccato. Quella sua frangetta è per me quello che per il cielo sono le nuvole: trattengono quel blu/celeste che vorrebbe mettersi in mostra, farsi vedere in tutto il suo splendore, ma c’è sempre qualche nuvoletta del cavolo ad ostacolo. 


Photo&Words : Diletta Corti.



P.S. : scritto in cinque minuti, magari lo continuerò, magari no. Intanto mi andava di pubblicare qualcosa su questo MAH, è troppo che non lo cagavo nemmeno, anzi mi ero scordata completamente di averlo messo al mondo.